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Il SALVATAGGIO

Joseph Conrad

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Un'oscura missione da compiere, un'intrusione funesta, uno sconosciuto turbamento dei sensi. È l'insondabile la materia prima di cui è composto questo romanzo, uno dei più inquieti e affascinanti di Joseph Conrad, destinato a occupare, tra i capolavori dell'autore di Cuore di tenebra e La linea d'ombra, una posizione eccentrica. Pubblicato nel 1920, Il salvataggio completa infatti, a oltre vent'anni di distanza, la trilogia aperta da La follia di Almayer (1895) e Un reietto delle isole (1896). Una lunga e complessa gestazione che riconduce un Conrad più che sessantenne ai luoghi e alle atmosfere della giovinezza e dei suoi esordi letterari: il caldo opprimente, le interminabili bonacce, le immobili notti stellate della Malesia; una natura primordiale capace di insinuarsi nell'animo, sfibrarlo, alterarlo, indurlo alla prolungata inerzia o all'azione estrema. Eroe indiscusso e tragico della vicenda è il capitano Tom Lingard, che già compariva nei due precedenti romanzi della trilogia malese. Qui Conrad lo ritrova più giovane, al comando del brigantino Lightning, impegnato tra gli insidiosi stretti che separano il Borneo dalle isole vicine. Lingard è un inglese che ha reciso le proprie radici, fissando la sua dimora tra quelle acque remote, dedicando la vita al mare, ai commerci, agli affari locali. Per onorare una promessa sta dirigendo la nave verso l'impervia Costa del Rifugio, dove ad attenderlo ci sono due amici di nobile stirpe orfani del loro regno, una malandata goletta trasformata in arsenale e una caotica folla di capi e guerrieri, divisi da rivalità e ambizioni. L'imprevisto, però, prende le sembianze di uno yacht che si è arenato sulle secche della costa e ha bisogno di soccorso. 

GLI ALLEGRI COMPARI
ROBERT LOUIS STEVENSON

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Per gli abitanti della zona di Aros, un isolotto remoto e inospitale, estremo angolo di terra della Scozia occidentale, gli Allegri Compari rappresentano un motivo d'insidioso richiamo: questo è infatti il nome che viene dato a un gorgo che si crea tra le rocce all'andare e venire della marea, e dal quale giunge un suono ammaliatore e minaccioso. Questo affascinante racconto di Stevenson, pubblicato per la prima volta nel 1882 e poi raccolto in volume cinque anni più tardi, narra di un naufragio che avviene, durante una tempesta, proprio in quel luogo dalla costa impervia, e ruota intorno a una famiglia locale, formata da un padre, ormai anziano, e dalla figlia, che si occupa di lui insieme a un fedele servitore. Un giovane nipote dell'uomo si reca a trovare quei parenti lontani con l'intenzione di rivelare alla ragazza il proprio amore. Sarà coinvolto in una drammatica avventura legata al subdolo e potente incanto del mare, ai suoi tesori nascosti, ad antiche tradizioni e superstizioni. Gli Allegri Compari è riproposto nella nuova traduzione di Fabrizio Pasanisi e con una nota critica di Dario Pontuale. Il volume è introdotto da un raro pezzo di Giorgio Manganelli sul piacere di leggere Stevenson, narratore “itinerante, perpetuo abitatore di labirinti”, tra i pochi capaci di far “rallentare e frammentare la lettura per non arrivare al momento angoscioso della conclusione”.

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Il Saccheggiatore di relitti
ROBERT LOUIS STEVENSON

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Nel 1888 circola tra i marinai la voce che una nave con un misterioso carico sia naufragata nei pressi dell’isola di Midway, un atollo sperduto a ovest delle Hawaii. La notizia si diffonde rapidamente e giunge all’orecchio di Robert Louis Stevenson, che assieme al figliastro Lloyd Osbourne decide di trarne spunto per una storia ambientata nelle isole del Pacifico. Intorno al brigantino Flying Scud si snoda, quindi, una trama che vede il protagonista Loudon Dodd, dopo anni da bohémien, mettersi in affari con un personaggio losco e acquistare una nave con cui affrontare l’oceano. Il giovane Dodd confida di trovare nel relitto del Flying Scud un grosso carico di oppio, invece resta invischiato in un’oscura vicenda nella quale è implicato il cadetto di una nobile famiglia inglese. Tra le ultime opere pubblicate in vita da Stevenson, Il saccheggiatore di relitti (The Wrecker) combina la vivacità del romanzo di avventura con le atmosfere torbide del racconto del mistero. Così scrive Dario Pontuale nell’introduzione: “Nel difficile equilibrio tra azione, suspense e riflessione, entrano personaggi che si muovono con il passo furtivo delle ombre, si manifestano e poi cambiano aspetto, alle volte addirittura identità. Gli interrogativi aumentano con il passare dei capitoli, ed esclusivamente seguendo quelle ombre sfuggenti, mostrandosi cautamente diffidenti e ascoltando attentamente quanto dicono, soprattutto non dicono, si può risolvere l’arcano congeniato da Stevenson e figlio”.
Questo caleidoscopico romanzo, pubblicato nel 1892 e tradotto per la prima volta in Italia quarant’anni più tardi, viene qui riproposto proprio in quella sua originaria traduzione del 1932, opera di Gian Dàuli, uno dei pionieri della diffusione della letteratura inglese e americana nel nostro paese, tra i primissimi, come ricorda Graziella Pulce nella postfazione, “a portare in Italia, spesso traducendoli personalmente e a poca distanza dalle edizioni originali, autori che poi sono diventati di primissimo piano”.

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Robinson Crusoe
Daniel Defoe

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Il ‘Robinson’, resta tra i primi best seller della storia editoriale, monumento dell’Illuminismo anglosassone, modello letterario indiscusso, sintesi della mentalità di un’epoca. Un’opera ispirata alla reale sventura del marinaio Alexander Selkirk, tradotta poi in parole dallo scrittore e commerciante londinese Daniel Defoe. Nella rude sopravvivenza di Crusoe, nella capacità di fronteggiare le avversità, nel resistere tanto alla natura selvaggia quanto alla solitudine, affiora lo spirito borghese, l’intraprendenza di una classe in rapida ascesa. In Robinson sacrificio, azione e conoscenza si concretizzano attraverso lo sforzo delle braccia e del cervello; l’emancipazione del personaggio diventa risultato storico, caratteristica morale, traguardo individuale. L’epico ingegno di chi rimane quasi trent’anni su un’isola trova forma nelle pagine di un diario secolare amato da Poe, apprezzato da Joyce, stimato dalla Woolf, ma pure criticato da Marx. Un capolavoro dall’iconografia sterminata, adottato dal cinema, frettolosamente definito un romanzo d’avventura destinato ai ragazzi, ma che Stevenson consacra come un libro “tanto realistico quanto romantico; entrambe le qualità sono spinte all’estremo e nessuna delle due ne soffre”. Le acque che circondano il naufrago, dunque, le spiagge sulle quali resta abbandonato dalla civiltà, non rappresentano soltanto un isolamento fisico, significano altro, nascondendo ombre ancora di assoluta modernità.

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L'isola del tesoro
Robert Louis Stevenson

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Nella storia della letteratura davvero pochi libri sono famosi come questo. Nel titolo si nasconde un tesoro, lo si immagina, ma non lo si vede; per trovarlo bisogna scavare nelle pagine e cercare nel fondo. Esiste un mistero che Stevenson ambienta tra la Gran Bretagna e il mar dei Caraibi, una trama raccontata usando una mappa, una storia collocata sopra un’isola infestata da pirati, tra polvere da sparo, dobloni, rum e sterminata fantasia. Un’opera capace di ‘formare’ il genere avventuroso, una giungla letteraria dove il vecchio Billy Bones, l’impavido Jim Hawkins, il sanguinario Long John Silver, l’abbandonato Gunn, il capitano Smollett o il capitano Flint non sono soltanto personaggi, bensì maschere senza tempo. L’Hispaniola naviga a vele spiegate verso un tesoro, portando con sé intere generazioni di lettori affascinate dall’esoticità e dai continui colpi di scena. Manganelli definisce L’isola del tesoro come “il poema della vitalità, tenero e sempre di un’esattezza, di una lucidità allucinante: ma senza paura, e senza istrionismi”; Tabucchi lo ama “perché è pieno di vento, di immaginazione, di avventura, di infanzia”; Borges sostiene, perfino, che leggere Stevenson sia una vera e propria forma di felicità. Un’opera dalle profonde implicazioni viscerali tali da far scrivere allo stesso Stevenson: “Nonostante tutto il mio romanzo, sono poi un realista, un prosatore e un fanatico ammiratore delle nude sensazioni
fisiche restituite con esplicita chiarezza”.

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La scoperta dell'America
Cesare Pavese

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Nel 1951 Einaudi pubblicò La letteratura americana e altri saggi, un volume di scritti pavesiani, redatto da Italo Calvino e suddiviso in tre sezioni: Scoperta dell’America, Letteratura e società, Il mito.
Scoperta dell’America costituisce una raccolta di articoli apparsi su varie riviste tra gli anni Trenta e Quaranta, dove si coglie tutta l’essenza di una letteratura moderna, l’energia di una scrittura vitale e fiorente: «Quella cultura ci apparve insomma un luogo ideale di lavoro e di ricerca, di sudata e combattuta ricerca, e non soltanto la Babele di clamorosa efficienza, di crudele ottimismo al neon che assordava e abbacinava gli ingenui e, condita di qualche romana ipocrisia, non sarebbe stata per dispiacere neanche ai provinciali gerarchi nostrani. Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese, un nuovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti». Pavese contribuirà così in modo determinante alla conoscenza di romanzieri che influenzeranno stilisticamente il Novecento, di poeti diventati indiscussi modelli lirici. Questo è il suo merito e, a settanta anni dalla morte, quelle righe respirano nuova aria.

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